DAVANTI A VILLA EMMA
Concorso internazionale di progettazione in 2 fasi. Primo premio
In costruzione
Cliente: Fondazione Villa Emma, Nonantola
Luogo: via Mavora, 39, Nonantola (MO), Italia
Progetto: Bianchini & Lusiardi Associati
Anno del concorso: 2018
Incarico per la progetto di fattibilità tecnica ed economica progetto definitivo ed esecutivo, direzione lavori
Abbiamo fatto: Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica (2019), progetto definitivo/esecutivo (2022), direzione lavori in corso
Strutture: Ing. Emanuele Fornalè
Impianti: Ing. Camillo Genesi, Ing. Alessandro Farina
Importo lavori: € 1.670.000 iva esclusa
Stato: In costruzione, completamento previsto nel 2024
Premessa e obiettivi del concorso
Scopo del concorso, organizzato dalla Fondazione Villa Emma, è stata l’acquisizione di un progetto per la realizzazione di un ‘Luogo per la memoria’ dedicato alla vicenda di settantatre ragazzi ebrei di origine tedesca, austriaca e jugoslava diretti in Palestina che, tra il 1942 e il 1943, furono accolti a Nonantola, vicino Modena.
Questo luogo per la memoria sarà costituito da un edificio polifunzionale che ospiterà un allestimento museale, da ambienti destinati alla Fondazione Villa Emma e da spazi per il lavoro di associazioni che operano sul territorio impegnate in attività inerenti i temi dell’accoglienza. Il nuovo edificio sarà inoltre al centro di un percorso artistico diffuso sul territorio cittadino.
Il progetto del memoriale
Nonantola ha rappresentato una tappa nel viaggio verso la meta dei settantatre ragazzi; il progetto rappresenta questo aspetto della transitorietà sia attraverso le scelte compositive che attraverso la scelta del legno come materiale costruttivo, che più di ogni altro rimanda all’archetipo del riparo temporaneo.
Il progetto del nuovo centro si fonda sul raddensamento, fisico e simbolico, dei percorsi e delle relazioni umane che hanno mappato l’area di Nonantola nei giorni in cui il gruppo di ragazzi ebrei ha vissuto a Villa Emma.
Seguendo il principio per cui l’edificio e il territorio del paese formano nell’insieme “il luogo per la memoria dei ragazzi salvati a Nonantola”, i binomi “interno / esterno” – ovvero spazio chiuso e immediato intorno – e “vicino / lontano”- ovvero da un lato le relazioni umane fra i ragazzi e gli abitanti e dall’altro le direttrici dei luoghi di provenienza e di approdo – hanno costituito le linee guida di questo progetto. E’ stato necessario pensare a un edificio che più che decostruirsi si aprisse verso l’esterno, per fondersi con un “fuori” che coincide con la complessità e le contraddizioni del nostro tempo.
L’idea di non-edificio e di messa in discussione del concetto occidentale di spazio è stata sviluppata nel progetto lavorando su tre punti chiave: la rarefazione del confine, il riferimento alla campagna come spazio ludico (legandosi alla giovane età dei ragazzi di villa Emma), il riferimento alla sukkah come archetipo del riparo temporaneo che accoglie e protegge durante il viaggio.
A partire dalla dorsale centrale l’architettura si frammenta e si disarticola, alcuni setti si spostano, altri ruotano coerentemente con le direzioni dei luoghi, vicini e lontani, disegnando un margine ibrido sul quale poggia la copertura piana punteggiata da lucernari che permettono allo sguardo di scorgere il cielo. Elemento unificante della copertura, visibile sia all’esterno che all’interno, è il frangisole in legno: la texture si rifà simbolicamente alla s’chach delle sukkot e richiama il ruolo di Villa Emma quale riparo momentaneo per i ragazzi e i loro accompagnatori durante il loro viaggio verso la Palestina.
L’allestimento espositivo non si sovrappone alla struttura dell’edificio ma ne è parte integrante. Il percorso prevede che le pareti di confine e i setti esterni siano dedicati ai contributi che contestualizzano storicamente la vicenda dei ragazzi salvati, oltre che ad alcuni temi attuali – la persecuzione del “diverso”, i flussi migratori, il tema dell’accoglienza – mentre alla
dorsale centrale del percorso, che è anche elemento strutturale dell’edificio, è affidata la narrazione dei giorni trascorsi dai ragazzi a Villa Emma e più in generale al loro rapporto con il territorio di Nonantola. Il tratto di percorso che si ricollega all’ingresso coincide con una zona di approfondimento dove i documenti, sia cartacei che in formato digitale, potranno essere consultati da postazioni individuali. Gli elementi parete che formano la dorsale centrale dell’area espositiva infatti, oltre a fare da supporto per proiezioni video e stampe ospitano anche un archivio documentale aperto al pubblico.
Le pareti saranno realizzate con pannelli strutturali in legno XLam (Cross Laminated Timber) mentre Il solaio di copertura è formato da un sistema a “cassettoni” in legno lamellare. La stessa forma edilizia consente poi illuminazione, ombreggiamento e ventilazione naturali. L’edificio comprende una serie di tecniche volte alla riduzioni dei consumi, come riscaldamento e raffrescamento geotermico, pannelli fotovoltaici e sistema di recupero delle acque piovane. Nel complesso una volta terminato (l’inaugurazione è prevista nella primavera 2021) si tratterà di una delle architetture museali più sostenibili al mondo.
L’itinerario artistico diffuso
Così come il nuovo edificio è ‘luogo per la memoria’ attivo e parte del nostro tempo, anche l’itinerario artistico diffuso è segnato da un oggetto domestico senza tempo: una piccola seggiola, da sempre simbolo di accoglienza e di ospitalità.
Le sedie saranno realizzate in bronzo, materiale che nella storia della scultura ha una tradizione secolare e che in questo caso rende “straordinario” un oggetto di uso comune.
Schizzi
Viste assonometriche
Pianta
Prospetti
Schema strutturale. In grigio: fondazione a platea in C.A.; in giallo: pareti portanti in legno XLam; in bianco: solaio a cassettoni in legno lamellare; in arancio: telai strutturali in acciaio
Sezione bioclimatica
Viste interne
Tutte le immagini © Bianchini & Lusiardi Associati
Di seguito il testo pubblicato da Adachiara Zevi * il 31 marzo 2019 su https://www.adachiarazevi.it/2019/03/31/davanti-a-villa-emma/
*Adachiara Zevi: architetto e storica dell’arte è presidente dell’Associazione “Arte in memoria” e della Fondazione Bruno Zevi. E’ stata la presidente della giuria di concorso
premiazione del progetto vincitore per il memoriale a Nonantola
E’ stata una bella sfida. In tempi di bulimia memorialistica, ma anche al cospetto di altissimi esempi di architetture e opere d’arte dedicate alla memoria – solo in zona basti pensare al Museo Monumento al Deportato Politico e Razziale di Carpi, al Museo per la memoria di Ustica a Bologna e al MEIS di Ferrara – inventare un dispositivo che traduca in forme e spazi originali una storia speciale, unica nella sua complessità e articolazione, non è affatto scontato. Come membri di una giuria che ha lavorato in grande armonia e con unità di intenti, eravamo seriamente preoccupati che dopo tanti anni di elaborazione culturale, la montagna partorisse un topolino. Così non è stato: non entrerò troppo nel merito del progetto vincitore, compito assegnato a persone ben più competenti, dagli stessi progettisti all’architetto Anna Allesina che ha seguito con grande attenzione l’intero iter concorsuale. Avendo avuto però la fortuna di partecipare negli ultimi anni all’intensa attività preparatoria promossa dall’instancabile direttore e dagli autorevoli membri del comitato scientifico della Fondazione Villa Emma, per non parlare del Presidente Stefano Vaccari, non posso esimermi dal sottolineare come alcuni aspetti cruciali della vicenda siano stati tradotti in arte e architettura.
Se dovessimo sintetizzare in una parola cosa caratterizza la storia di Villa Emma, forse precarietà sarebbe la più appropriata: di chi è costretto a fuggire dalla propria terra, di chi lascia luoghi familiari per giungere in altri che non rappresentano neppure la meta, ma solo una tappa del viaggio, di chi affida la propria sopravvivenza a persone sconosciute, di chi è costretto a cambiare continuamente dimora.
Come esprimere la precarietà in un edificio-museo che per definizione è stabile e deputato a eternare quella storia nella coscienza del pubblico? Partiamo da quello che questo memoriale non doveva e non poteva essere. In primo luogo, un edificio unico, concluso, impermeabile all’esterno, come prospettato da molte soluzioni progettuali. La storia, sappiamo, è infatti doppiamente policentrica: parte da fuori Italia, dalla Germania e dall’ Austria, da dove proviene la maggior parte del primo gruppo di ragazzi, a Spalato da dove muovono invece i 33 del secondo contingente, da Sarajevo a Zagabria alla Slovenia, da Trieste a Nonantola (dove il primo gruppo giunge nel luglio ’42 e il secondo nell’aprile ’43) e poi, ancora, dopo l’8 settembre in Svizzera e, infine, a guerra conclusa, in Palestina. Ma la storia è policentrica anche nella stessa Nonantola dove i ragazzi trovano asilo prima a Villa Emma e poi nelle case degli abitanti e in altri luoghi del paese. In modo singolare, proprio Pratogalli, dove sorgerà il nuovo organismo, non è un luogo vissuto ma solo attraversato nel tragitto dalla Villa al paese; la sua prerogativa, come bene esprime il titolo del concorso, è di essere “Davanti a Villa Emma”.
Come tradurre dunque i concetti di precarietà, policentrismo e transito in spazi e percorsi? Mutuando il termine “contro-monumento”, che si addice ai memoriali che cercano di abbassare il loro tasso di monumentalità a favore di un coinvolgimento e attivazione dello spettatore, Riccardo Bianchini e Federica Lusiardi parlano di “non edificio”, in tre accezioni: la rarefazione del confine, dunque la trasparenza dell’involucro che lo rende permeabile alla campagna circostante; l’adozione del legno come materiale costruttivo, il riferimento alla sukkah in quanto archetipo di riparo temporaneo ma, soprattutto, il dinamismo degli elementi strutturali, i pannelli che supportano la documentazione, girevoli lungo le traiettorie che additano i luoghi di provenienza e di approdo dei ragazzi. Sotto la grande copertura, in parte opaca in parte trasparente, attraversata dalle stesse traiettorie, “l’architettura si frammenta e disarticola nella dorsale centrale, alcuni setti si spostano, altri ruotano coerentemente con le direzioni dei luoghi, vicini e lontani, disegnando così un margine ibrido e non definito”. Al cospetto dell’andamento a zig-zag della dorsale centrale, come non pensare alla saetta del Museo ebraico di Berlino, frutto del collegamento sulla pianta della città delle abitazioni dei protagonisti della cultura ebraica tedesca?
Si tratta di una struttura che, nella sua leggerezza e adattabilità, riflette la discrezione con cui il paese e i suoi abitanti hanno elaborato nel tempo la memoria di questa vicenda: prima inglobandola nella Resistenza, poi marginalizzandola, forse per non farne presuntuosamente un vessillo di identità. E’ un’ipotesi.
Memoriale come transito, dicevamo. Anche qui il pensiero vola al memoriale progettato da Peter Eisenman a Berlino per i 6 milioni di ebrei uccisi in Europa, una grande griglia sbilenca da attraversare nei suoi plurimi percorsi, un pezzo di Berlino città aperta. Il contro-edificio, spiegano i progettisti, “è stato disegnato su una maglia ortogonale disarticolata dall’attraversamento delle linee di forza delle direttrici, in particolare dalla linea ideale che collega villa Emma con Israele”.
A differenza della maglia pensata “davanti a Villa Emma”, però, dove le traiettorie connettono e riannodano i fili di una storia a lieto fine, a Berlino la griglia ortogonale e il principio razionale che la sottende, impazziscono e collassano; i percorsi scoscesi, vertiginosi e destabilizzanti creano un baratro, uno strappo, una lacerazione nella storia della città e del suo tessuto urbano.
Il bando prevedeva la compresenza della dimensione artistica e di quella architettonica attraverso una collaborazione tra le due figure professionali secondo modalità da loro scelte liberamente. Visti i rapporti perloppiù conflittuali tra le due categorie a confronto – per restare a Berlino, si pensi alla diserzione di Richard Serra nella seconda fase di concorso – i vincitori hanno scelto la soluzione più saggia: svolgere in proprio i due ruoli. Quello artistico, cui è affidato il compito di collegamento tra i luoghi di ospitalità, configura una sorta di memoriale diffuso: la sedia, “oggetto domestico senza tempo”, simbolo di accoglienza, identifica il monastero, le case, le officine e le botteghe che hanno accolto i ragazzi. Soggetto principe della storia dell’arte, da Van Gogh a Joseph Kosuth, ma anche in ambito memorialistico, se pensiamo a Der verlassene Raum di Karl Biedermann nella Koppenplatz di Berlino o alle 70 grandi sedie che occupano la piazza dedicata agli eroi del ghetto a Cracovia, realizzate dagli artisti polacchi Piotr Lewicki e Kazimierz Latak, quelle in bronzo di Bianchini e Lusiardi non si limitano a evocare ma segnalano, come gli Stolpersteine nella mappa della memoria di Gunter Demnig, luoghi precisi di accoglienza: sono tutte uguali ma ognuna racconta, sullo schienale e sul sedile, un luogo e una storia diversa.
Poichè, anche nelle celebrazioni come quella odierna, è bene mantenere un’attitudine critica, anche in questo bel progetto si possono ravvisare alcune criticità su cui sarà importante continuare a discutere in fase di realizzazione. Mi riferisco in particolare alla presenza della cornice che inquadra Villa Emma quale unico indicatore del rapporto tra i due luoghi prospicienti, e al muro costruito con “le pietre che hanno osservato” delle case Sacerdoti, mera citazione di strutture pre – esistenti.
E concludo. In tempi di allarmante recrudescenza del razzismo, dell’antisemitismo e dell’omofobia, realizzare un memoriale che sia allo stesso tempo un luogo per riflettere su differenze e analogie tra l’accoglienza di ieri e quella in atto oggi nei confronti di nuovi soggetti in fuga dai loro paesi di origine, è di grande importanza e attualità, per Nonantola, per l’Emilia Romagna, per l’intero paese. Come pure contrapporre alla spudorata rivalutazione del fascismo e del suo tronfio patrimonio architettonico, si pensi a Predappio, una soluzione discreta, umana, priva di retorica, che non s’imponga ma si integri al contesto.
Adachiara Zevi | 31 marzo 2019